Quando e perché portare il proprio figlio dallo psicoterapeuta
Per un genitore non deve essere facile ammettere che nel proprio bambino c’è un qualcosa che sta creando una qualche difficoltà, un disagio e dover quindi richiedere l’aiuto di un esperto, uno psicoterapeuta formato appositamente per l’età evolutiva. Tutto questo molto spesso crea nella coppia genitoriale una ferita narcisistica data dalla difficoltà del figlio emersa e dall’incapacità del genitore di poterlo aiutare.
Sempre più spesso l’esperto viene contattato dalla famiglia a seguito di una segnalazione o un consiglio da parte della scuola, la quale può aver notato difficoltà non solo scolastiche ma anche nelle relazioni con i compagni e/o comportamentali.
- Quando rivolgersi ad uno psicologo
- Cosa fa uno psicoterapeuta dell’età evolutiva?
- Cosa succede nella stanza di terapia?
Quando rivolgersi ad uno psicologo
Ma quali possono essere nello specifico le difficoltà che possono far sorgere, ad un genitore, il pensiero di dover chiedere aiuto ad uno psicologo? Vediamo un breve elenco di alcune sintomatologie che si possono riconoscere nel proprio figlio:
- modifiche comportamentali importanti come eccessi di ira o un’improvvisa chiusura in sé;
- disturbi legati al sonno;
- il ritardo nell’acquisizione di importanti tappe evolutive come il controllo degli sfinteri superati i 3 anni, enuresi notturna, encopresi…
- disturbi legati all’alimentazione e al contatto con il cibo;
- ritiri sociali;
- comportamenti masturbatori ripetuti;
- situazioni di stress familiare a seguito di eventi che hanno creato un qualche disorientamento all’interno del normale contesto della famiglia come un lutto, una malattia importante, la separazione dei genitori e tutto ciò che questo evento può comportare.
Cosa fa uno psicoterapeuta dell’età evolutiva?
Lo psicologo è una figura definita terza, esterna quindi alla famiglia e alle sue dinamiche, la quale grazie ai suoi studi, esperienza clinica e formazione è in grado di avere una visione diversa della situazione familiare, spesso riesce a comprendere le relazioni tra i suoi componenti e può quindi valutare, anche con dei test specifici se necessario, quale sia la causa del sintomo del bambino e poter così creare delle ipotesi mirate di intervento.
Cosa succede realmente quando si decide di fissare un appuntamento?
Il primo passo che viene richiesto dal professionista è la conoscenza dei soli genitori, ed è così che ha inizio il periodo definito di consultazione. Si richiede alla coppia genitoriale, al momento del contatto, di fissare uno o due colloqui iniziali. Questa è una modalità per farsi conoscere dal genitore e permettere al terapeuta di conoscere loro ed iniziare a costruire le basi per una buona alleanza terapeutica.
Tramite questi colloqui si possono avere molte informazioni sulla famiglia, sul motivo che li spinge a chiedere un consulto, sulla coppia, sulla gravidanza e la crescita del loro bambino.
È una modalità per spiegare loro anche come funzionano i successivi incontri dove si avranno proprio degli incontri con il loro bambino. È importante siano presenti entrambi i genitori al colloquio di coppia.
Può capitare, però, in alcune situazioni che il conflitto coniugale, sopratutto in casi di separazioni, sia talmente elevato da risultare di intralcio all’incontro, solo in quel caso si possono richiedere dei colloqui separati.
Più il bambino è piccolo di età e più questi colloqui hanno una maggiore valenza, quando si ha davanti un adolescente, i colloqui con i genitori possono modificarsi, anche in base alle richieste del giovane stesso.
Gli incontri di osservazione e valutazione che si fanno con il bambino sono in totale tre, un arco di tempo importante ed utile al terapeuta per avere un quadro generale del bambino e per entrambi di creare insieme una relazione.
Gli incontri si svolgono nella stanza nella quale si richiede al bambino di entrare solo. Vi sono dei casi nei quali i bambini, sopratutto se molto piccoli, possono presentare delle difficoltà nello staccarsi dal genitore che lo accompagna ed in quel caso si può chiedere alla mamma o al papà di facilitare questo ingresso entrando con il figlio in stanza e successivamente, se anche il bambino è d’accordo, si può chiedere al genitore di aspettare fuori la stanza il tempo rimanente per la fine dell’incontro.
Quindi, come dire ad un bambino che deve andare dallo psicologo? Si consiglia sempre ai genitori di comunicare prima, ovviamente con parole idonee all’età, dove porteranno il bambino, chi incontreranno ed anche il motivo per il quale lo si sta portando da uno specialista per i bambini.
Cosa succede nella stanza di terapia?
Lo psicologo prepara, precedentemente, una scatola con dei giochi che farà trovare al bambino lì ad aspettarlo.
La scatola conterrà dei giochi adeguati alla sua età tra i quali si possono trovare: bambole, soldatini, macchine, pasta per modellare, costruzioni, animali, personaggi che rappresentino i componenti della sua famiglia, fogli bianchi, colori…. non necessariamente si fanno delle distinzioni tra giochi da maschio e giochi da femmina, si cerca di presentare al nuovo arrivato un materiale variegato.
Tutti questi importanti prodotti permettono all’esperto di mettere in luce alcune dinamiche comportamentali del bambino e a quest’ultimo di tirare fuori e mettere in scena, tramite il gioco e/o il disegno, un suo disagio, una sua problematica, una difficoltà relazionale con un compagno o un genitore.
Ogni singolo incontro ha una durata di 50 minuti.
A fine consultazione, terminati i tre incontri singoli con il bambino, ci sarà un incontro conclusivo definito di restituzione che si organizza con i soli genitori.
Sarà in questa occasione che il terapeuta potrà condividere con loro ciò che ha osservato, scambiare idee, pensieri, fare ulteriori domande per chiarimenti, sapere anche da loro come il bambino ha affrontato a casa questa novità e poter poi così formulare un piano terapeutico insieme, se risulta poi necessario.